30 Nov 2021
category: miniere ed energia , narrazione .

Il controllo delle acque nella miniera di Santa Barbara

Tornano le storie dell’ing. Mario Zaniboni che giovane studente di ingegneria mineraria fece parte del suo apprendistato presso le miniere di Cavriglia. In questa occasione la sua attenzione si è rivolta allo studio del controllo delle acque, perché anch’esse in miniera erano un problema da gestire….

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“Nelle miniere a cielo aperto di qualsiasi minerale, il problema del controllo delle acque si sviluppa su due fronti, nel senso che, oltre alle acque che possono derivare dal basso, cioè le acque di falda, ci sono pure le acque derivanti dalle precipitazioni atmosferiche. Pertanto il calcolo delle sezioni dei canali destinati a raccogliere le acque sotterranee, attraverso uno o più pozzi di pompaggio, deve tener conto del relativo incremento di portata. Lo stesso vale per i bacini di raccolta, qualora non si intenda eliminare le venute di acqua immediatamente.

Naturalmente, le origini delle acque, essendo diverse, richiedono pure un approccio diverso. Le acque superficiali si devono alle precipitazioni atmosferiche. Queste, se non opportunamente controllate, sono in grado dar luogo a ruscellamenti, ad allagamenti, a infiltrazioni nei terreni, alterandone la stabilità, e al ravvenamento delle falde. Pertanto, si rende necessario provvedere alla loro raccolta, attraverso la preparazione di canali di scolo, condutture, invasi di dimensioni adeguate. Ovviamente, non essendo la natura mai uguale a se stessa, per il dimensionamento è necessario fidarsi del calcolo probabilistico. Cioè, bisogna fare una previsione sulle probabilità che un certo evento possa avvenire, pensando a un’alluvione eccezionale, catastrofica; quindi si deve applicare un opportuno coefficiente di riduzione, per non eccedere nelle dimensioni dei manufatti necessari e nelle spese da affrontare per costruirli, proprio facendo riferimento alle probabilità che quell’evento paventato possa veramente verificarsi; il tutto, naturalmente, anche in considerazione della durata richiesta dall’opera.

Proprio in base a quanto si è appena espresso, i collettori costruiti a monte della cava di lignite di Santa Barbara sono stati dimensionati con larghezza, giacché si era prevista una durata della miniera di una ventina di anni, si parla degli anni ’60 del XX secolo, per cui in tale periodo era probabile, o almeno possibile, il verificarsi dell’evento sfavorevole. Altre opere, di cui era prevista una durata minore oppure meno importanti, sono state dimensionate con un margine inferiore.
In un primo tempo, si era pensato che una portata possibile di 0,28 mc/sec. Ha (metri cubi al secondo per ettaro), valore ottenuto in base a osservazioni pluviometriche e raddoppiato per ragioni di sicurezza, fosse quello giusto, ma ci si è resi conto che era esagerato, per cui è stato ridotto di un 60%, naturalmente con le dovute cautele.
Alla fine, si accettarono i dati di seguito riportati, dovuti agli studi dell’Ing. Simonetti relativi al bacino dell’Arno, facendo riferimento alla precipitazione del 23 agosto 1965, caso critico assoluto 1 su 40 anni:
per 1 ha: 0,139 mc/sec. Ha, per 100 ha: 0,139 x 0,95 mc/sec. Ha, per 250 ha: 0,139 x 0,88 mc/sec. Ha.

I dati sopra riportati valevano per opere destinate alla lunga durata. Infatti, nel caso della deviazione del Borro Pianale, la sezione della galleria è stata progettata con dimensioni inferiori, applicando dati minori, perché doveva durare poco tempo: in quel caso, infatti, il coefficiente 0,139 fu sostituito da 0,114. Nella miniera Santa Barbara,come del resto si fa ovunque, si è fatta una netta distinzione delle acque alluvionali secondo la quota: così si hanno le acque alte, le medie e le basse.
La acque alte, provenendo dal bacino di alimentazione a quote superiori ai 250 metri s.l.m., erano le più pericolose per l’ampiezza della zona alluvionale ed erano eliminate facendole sversare, attraverso canali collettori o fossi di guardia, per caduta naturale nei corsi d’acqua esistenti. Nel caso in esame, i corsi d’acqua naturali erano molteplici. Perciò si è valutato il bacino imbrifero nella sua totalità e lo si è suddiviso in tante parti quanti sono i corsi, seguendo gli spartiacque naturali ed eseguendo deviazioni artificiali dove necessario. Così operando, si è suddiviso il bacino alluvionale della Santa Barbara di 1151,5 ha nel seguente modo:
Bacino Borro San Pancrazio e Valli: 442,5 ha,
Bacino Borro Macie e Pianale: 405 ha,
Bacino Borro del Bacherozzolo: 209,ha,
Bacino Borro Bicchieraie: 95 ha.

Alla superficie del bacino alluvionale si era aggiunta un’area di 120 ha di deflusso prevista per le discariche, tenendo conto dei lavori minerari connessi. In base ai dati probabilistici a disposizione, con la formula di Chezy, le aree delle sezioni dei manufatti risulta immediata.
Le acque medie, defluendo alla quota di 170 metri, che era quella della superficie del ricoprimento della lignite, non potevano essere allontanate per caduta naturale, per cui era necessario ricorrere all’uso di pompe installate in invasi lasciati o escavati nelle discariche; lo stesso dicasi per le acque basse, cioè quelle che si depositavano e stazionavano sul fondo dello scavo alla quota di 70 metri, quota minima del banco di lignite, insieme a quelle che provenivano dalla falda idrica sotterranea.
Per effettuare i vari collegamenti per mezzo di canali, tubi, stramazzi, caditoie e quant’altro, si mettono in atto le indicazioni di cui l’idraulica è prodiga, tenendo conto che ogni caso rappresenta una singolarità da affrontare indipendentemente dagli altri e la teoria dovrà essere applicata non perdendo mai di vista l’esperienza di chi la applica, giacché solamente quest’ultima sarà in grado di offrire soluzioni compatibili con le previsioni fatte al tavolino con il conforto dei dati ottenuti su calcoli probabilistici”.

(Ing. M. Zaniboni)


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