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Sala 3 – Secondo Piano

Sviluppo della miniera tra le lotte operaie e Grande Guerra

Il Novecento, il nuovo secolo porta ai minatori del Valdarno una maggior consapevolezza del lavoro e del loro ruolo sociale. Erano anni difficili. In tutta Italia erano sorti movimenti politici di grande rilievo che innescarono all’interno delle miniere rivendicazioni e ribellioni. Nel 1896, la crisi produttiva della miniera fece aumentare il disagio sociale dei lavoratori che organizzarono il primo grande sciopero. Tre anni più tardi, nel 1899, si verificò un altro grandioso sciopero che ebbe come conclusione un massiccio licenziamento delle maestranze. Nel 1900 la crisi sembrava essere ormai superata la produzione di lignite riprendeva vigore e i lavoratori occupati in tutta l’industria mineraria salirono a 1450. L’anno successivo però, la situazione sociale precipitò di nuovo e vennero ancora una volta alla luce i malcontenti: durante il mese di maggio i dipendenti della miniera effettuarono quattro giorni di sciopero, seguiti dai 17 nel mese di luglio: 1315 minatori, 6 donne e 34 ragazzi delle miniere di Castelnuovo ai quali andarono ad aggiungersi i dipendenti di altre miniere, fino ad arrivare a circa 2500 scioperanti. Alla fine di luglio finalmente la situazione si sbloccò e lo sciopero si concluse. I minatori stanchi e allo stremo della propria condizione psicofisica non ottennero nessun tipo di contropartita e furono costretti a riprendere il lavoro. Mai però prima di allora, nella storia delle miniere del Valdarno si era manifestata una tale resistenza da parte degli operai.

 

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale le miniere di Cavriglia erano in una fase di forte sviluppo. La lignite, combustibile povero trovò nelle guerre mondiali un suo riscatto, tanto da creare il triste detto Quando la miniera ride, l’uomo piange. La necessità di manodopera nella miniera portò alla militarizzazione dei minatori, che comportava fra le altre cose anche una disciplina di lavoro durissima e l’assenza di ogni diritto al dissenso, pena il licenziamento e l’invio coatto in trincea. Parallelamente prigionieri di guerra austro-ungarici e italiani renitenti alla leva furono mandati a lavorare nelle miniere cavrigliesi alloggiando in campi di concentramento. Ad essi si aggiunsero anche molti profughi provenienti dalle zone del fronte. Molti morirono di spagnola. Gli addetti alle miniere arrivarono così a quasi 5000. Finita la guerra, nel 1918, la produzione calò. In questi anni emerse e si affermò la figura di Attilio Sassi (1876-1957). Dopo Giuseppe di Vittorio, quello dell’anarchico imolese è stato indubbiamente il mito sindacalista che più ha resistito nella memoria del movimento operaio. Sassi fu oggetto delle simpatie e della stima dei minatori quanto delle attenzioni delle autorità giudiziarie e di polizia. Nel 1919, dopo 74 giorni di sciopero che seguivano a 20 di serrata padronale, una delegazione operaia con alla testa Attilio Sassi e Virgilio Diomiri si incontrava a Roma con i dirigenti della Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno, alla presenza del rappresentante del Governo: «i padroni delle miniere cedettero […] considerando che nelle venti giornate della serrata vi erano incluse tre feste, la serrata venne completamente rimborsata. La vittoria fu completa ed i minatori, assieme ai cavatori di Carrara, primi in tutto il mondo, conquistarono le sei ore di lavoro».

 

I fatti del 1921 a Castelnuovo dei Sabbioni furono la riprova di come un semplice tumulto operaio si trasformasse in un grave fatto di sangue. Il 23 marzo di quell’anno la direzione delle miniere aveva programmato il licenziamento in tronco di 430 operai, dopo mesi di trattative fra le parti per la concessione di un aumento dell’indennità carovita. Fu in questo clima di profondo scontento che si arrivò ai “fatti del ’21”. Quello stesso giorno si festeggiava il secondo anniversario della fondazione dei Fasci di Combattimento: le “squadre” fiorentine si apprestavano a celebrare l’evento con una serie di incursioni nelle “zone rosse” e nelle cooperative circostanti. Nelle miniere valdarnesi si sparse velocemente la voce di un imminente arrivo degli squadristi fiorentini. La sirena a vapore della Centrale iniziò a dare l’allarme e circa 3000 minatori di turno presero possesso dell’intera zona lignitifera, assediando la palazzina della direzione; altri operai eressero barricate sulla via che portava alla zona mineraria; molti erano armati di bastoni, fucili da caccia e candelotti di dinamite. Scoppiarono i tumulti: il direttore, ingegner Raffo, fu ferito e l’ingegner Agostino Longhi delle miniere Baccinello di Grosseto, che si trovava lì casualmente in visita, fu ferito a morte perché scambiato per un agente di polizia.  La mattina del 24 marzo giunsero alle miniere camion di fascisti fiorentini e aretini, insieme ad autoblinde dei carabinieri del battaglione mobile di Firenze; la cooperativa dei lavoratori e le case del popolo furono incendiate e la zona mineraria fu sottoposta a un rastrellamento durante il quale furono messe a fuoco alcune abitazioni. L’autorità giudiziaria emise subito molti ordini di cattura. Due mesi dopo, il 21 maggio del 1923, venne celebrata la prima udienza del “processone” contro 74 imputati. Il 13 luglio 1923 venne letta la sentenza: 11 assolti e 55 condannati; le pene variavano dai 30 ai 2 anni di reclusione. Tra i carcerati c’erano anche Attilio Sassi e Priamo Bigiandi.

 

Priamo Bigiandi (1900-1961) nacque il 3 luglio a San Pancrazio, località nel Comune di Cavriglia. Gli anni dell’infanzia passarono tra mille difficoltà, fino al raggiungimento dell’età minima per lavorare in miniera. Fu proprio in miniera che iniziò la sua attività politica fino ai fatti avvenuti il 23 marzo 1921 . Bigiandi è stata una figura centrale della storia del territorio: durante la Seconda Guerra Mondiale fu impegnato nella lotta di liberazione e lavorò per la ricostruzione. Nel 1946 venne eletto sindaco di Cavriglia. Due anni dopo fu eletto deputato alla Camera, per ben due mandati.  Conosceva bene i problemi legati all’escavazione della lignite e quelli dei lavoratori che svolgono questo mestiere, essendo stato anche lui un minatore. Nonostante i numerosi impegni non abbandonò mai il suo territorio prima come  Sindaco e poi lavorando per risolvere il grave problema della crisi mineraria dei primi anni Cinquanta del secolo scorso. Nel 1953, riconfermato alla Camera, presentò il ‘Progetto Bigiandi’, un tentativo per salvare le miniere e l’occupazione. Il progetto non fu mai realizzato.

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