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Sala 5- Secondo Piano

La miniera

Nel 1920, quando le miniere ebbero un crollo economico-produttivo piuttosto importante, operavano nel territorio 6 società: la SALVA, la Mineraria Valdarnese Poggio Avane, la Società Italiana Ligniti e Torbe Carpinete, la Pian di Colle Saccardi e la SMEV (Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno) che aveva già acquisito la Società Miniere Riunite. Il numero di addetti era di 2790 alle miniere e 320 alla centrale di Castelnuovo, numero piuttosto basso se si pensa agli anni della guerra. Con l’ascesa del fascismo si apriva un nuovo momento. Nel 1923 la Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno si scisse in tre società: la Società Elettrica del Valdarno, la Società Mineraria del Valdarno e la Società Agricola del Valdarno che confluirono nel gruppo La Centrale. La scissione permetteva un maggior controllo del lavoro nei tre settori fondamentali per il bacino lignitifero: produzione di energia elettrica, miniere e gestione/riassetto del territorio. Durante i due decenni successivi alla seconda guerra mondiale le miniere oscillarono sempre tra momenti di alti e bassi che corrispondevano per i minatori in licenziamenti e successive assunzioni. In particolar modo la crisi si fece sentire negli anni Venti e più volte si cercarono soluzioni all’annoso problema della disoccupazione. Molti minatori trovarono “riparo” nei lavori agricoli, un mondo secolare che aveva caratterizzato queste terre, in attesa di essere nuovamente assunti nell’industria.

 

I minatori non avevano molti strumenti di lavoro e spesso gli oggetti “identificavano” la mansione. Il più utilizzato era sicuramente l’incastrino, un arnese impiegato per il tracciamento delle gallerie e per eseguire tracce nelle camere di abbattimento per provocare la caduta dei pezzi grossi di lignite. Assieme all’incastrino si poteva trovare la marra, una specie di zappa a lama stretta incurvata e tagliente all’estremità. Arnese molto robusto che i minatori impiegavano per spaccare i pezzi grossi di lignite e per il disgaggio dell’avanzamento dopo lo sparo della mina. Ai carichini sicuramente erano affidate le pale, quella da caricatore – munita di manico corto – adatta per il lavoro nelle gallerie dove non vi era sufficiente spazio per l’ampiezza di movimenti e quella da sterro, usata in miniera per fare lavori di pulizia ai fossetti di scolo dell’acqua e per togliere il fango. La scure accompagnava sicuramente gli armatori che dovevano preoccuparsi di mettere in sicurezza le gallerie. Cunei, biette e mazze erano altri arnesi che potevano aiutare molto quando c’era da staccare un blocco di lignite. I fuochini e gli addetti alle mine avevano arnesi propri: il calcatoio, un’asta di legno cilindrica, della lunghezza di 150 cm usata per effettuare l’intasamento delle mine e la succhia, un attrezzo adibito per la preparazione dei fori da mina o per piccoli fori di esplorazione e di saggio.

Nelle miniere del Valdarno la sicurezza rimarrà per molto tempo un problema “discrezionale”: il lavoro, spesso fatto in economia e a cottimo, costituiva una delle cause maggiori di infortuni. Solo alla fine del 1800 si iniziano a stipulare polizze assicurative collettive mentre l’ospedaletto con il medico arriveranno molto tempo dopo. Nel tempo i sistemi di lavoro cambiarono, arrivano le macchine che agevolarono il lavoro e i ventilatori che aiutarono a respirare meglio ed evitare la formazione di gas.

 

Le miniere che avevano lavorato con ritmi molto ridotti ripresero slancio dagli anni Trenta aumentando la produzione. In questo periodo furono molte le opere realizzate nel territorio: fu costruita la Villa della Direzione della Società Mineraria, nuove abitazioni per gli impiegati, stabilimenti presso le miniere… Furono introdotti ammodernamenti e strumenti per l’estrazione del combustibile. Si costruirono anche i villaggi minatori di Santa Barbara, del Porcellino e alcune case della Dispensa, poco distante dal paese di Castelnuovo: le case dei minatori e degli operai spesso avevano problemi: “locali umidi, privi di aria e troppo affollati”.

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