31 Ago 2022
category: miniere ed energia , narrazione .

Un geologo in miniera

A differenza dei siti minerari delle Colline Metallifere, dell’Isola d’Elba, o del Monte Amiata, la Miniera di Santa Barbara non è mai stata particolarmente ricca, sia quantitativamente che qualitativamente, di minerali e di fossili.
Tuttavia, la prima volta in cui ho avuto a che fare con i minerali della miniera, è stato durante una gita universitaria che ho effettuato nella seconda metà degli anni ’70. Un autista dell’ENEL, in quell’occasione, ha portato me ed alcuni miei colleghi universitari su un piano di lavoro della cava di Castelnuovo: qui, immergendo le mani in una poltiglia argillosa, potevamo individuare e prelevare delle piccole geodi di Anapaite. L’Anapaite è, chimicamente, un fosfato idrato di calcio e ferro. Si tratta di un minerale di origine principalmente sedimentaria che si forma all’interno di rocce argillose associate a giacimenti fossili. Solitamente si presenta in forma di micro-cristalli ben costituiti o come cristalli aggregati a rosetta. Il suo colore varia tra diverse tonalità di verde, da quello intenso a quello giallastro; può anche presentarsi sui toni del marrone, dati dall’ossidazione del ferro che vi è contenuto. L’Anapaite sotto altra forma, ovvero con morfologia lastriforme, è stata recuperata alcuni anni dopo sempre nella cava Castelnuovo, ma alcune decine di metri al disopra del piano del mio primo ritrovamento.

Quando sono tornato in miniera erano gli anni ’80 del secolo scorso, ormai assunto a tutti gli effetti, memore dell’esperienza universitaria mi aspettavo di trovare subito un bel po’ di altri minerali, ma la delusione era dietro l’angolo: per parecchi mesi, dopo il mio arrivo, non sono riuscito a trovare proprio un bel niente. Cominciavo ormai a disperare quando, una mattina, al mio arrivo a lavoro mi sono ritrovato davanti un collega che mi mostrava orgoglioso un’abbondante manciata di cristalli di Selenite. La Selenite è una varietà di gesso cristallino (solfato di calcio biidrato) che può depositarsi in strati formati da grandi cristalli lenticolari, oppure in cristalli singoli o geminati, sempre con facce a forma di parallelogramma, che assumono questo nome perché sfaldabili in fogli traslucidi simili al riflesso della Luna (“Selene” in greco). Come accade anche per i cercatori di funghi che si rispettino, il collega non voleva assolutamente dirmi dove avesse rinvenuto i minerali, e mi ci è voluto del bello e del buono per farlo sbottonare: solo dopo aver insistito fino allo sfinimento mi ha rivelato da dove il suo nuovo tesoro provenisse. Si trattava del fronte di scavo dell’escavatore “Krupp RS 1000”, denominato “Betta 1”, che stava lavorando in località Allori. Temendo che il lavoro della macchina potesse “mangiarsi” il piccolo giacimento di cristalli, mi sono precipitato sul luogo del ritrovamento e, senza neanche aspettare che l’escavatore terminasse la sua fase di lavoro, per non intralciarne l’esercizio, ho iniziato a caricare sul mio Land Rover tutta una serie di zolle che a prima vista sembravano contenere i ricercati cristalli. E non mi sbagliavo: tornato in Località Officine, ho scaricato il contenuto dell’autoveicolo fino a riempire per intero il mio armadietto nello spogliatoio. La restante parte della giornata lavorativa era trascorsa febbrilmente: non vedevo l’ora che arrivasse l’orario del cambio turno, quando mi sono potuto precipitare nello spogliatoio per frantumare le zolle e recuperare alcune centinaia di cristalli.

Decidendo quindi di seguire il filone delle seleniti, che si diceva già negli anni ’60/70 fossero state rinvenute in area Castelnuovo, dove c’erano vere e proprie grotte rivestite di ciuffi selenitici accresciuti su terra rossa, nei giorni successivi sono risalito verso Nord – laddove successivamente sarebbe stata aperta la cava di San Donato. Al momento in prossimità di quell’area erano presenti le famose “terre rosse”, ovvero le fumanti argille cotte dal calore proveniente dalla combustione del sottostante banco lignitifero. Nei dintorni di questa zona erano ancora rinvenibili cristalli di gesso di svariate dimensioni, da cristalli singoli a ciuffi di cristalli fuoriuscenti dalle stesse “terre rosse”. La zona era estremamente suggestiva, ed era quindi la più gettonata da far vedere alle personalità che di tanto in tanto venivano in visita alla Miniera.

Una volta aperta la cava di San Donato fu evacuata l’area cimiteriale senza rendersi conto del fatto che, al disotto del piano di sepoltura, era già presente un altro cimitero le cui croci erano datate agli anni ’50 del 1600. Queste erano state casualmente portate alla luce da una rippata più profonda di una ruspa. Onde accertarmi dell’effettiva estensione di quest’antica area cimiteriale, avevo effettuato un sopralluogo durante il quale era emerso che, sulla scarpata rivolta ad Est , al disotto di località Vignale, era presente un piccolo giacimento di Sericoliti, una varietà fibrosa di gesso, con lucentezza sericea, che veniva impiegata in passato per la realizzazione di monili e oggetti ornamentali. La Sericolite è appunto la varietà fibrosa del gesso, e prende il nome dalla sua particolare lucentezza che ricorda i riflessi della seta. Ancora una volta, ho caricato il mio solito Land Rover con tutto il materiale sericolitico che sono riuscito a trovare, e ho stipato nuovamente il tutto nel solito armadietto. Credo che quell’armadietto per un bel po’ di tempo abbia visto più terra che effetti personali…!

Nel pomeriggio di una assolata giornata d’estate, mentre eseguivo il mio solito giro di controllo, uno degli operatori di mezzi speciali (un ruspista) mi ha chiamato per mostrarmi ciò che aveva trovato ruspando in zona Allori, subito al disopra del fronte di scavo dell’escavatore “Krupp RS 1000 – Betta 2”, che al momento stava effettuando un taglio verso il basso. Si trattava di sfoglie meno che centimetriche di Vivianite. La Vivianite è un fosfato idrato di ferro la cui genesi è secondaria: può originarsi infatti in depositi argillosi lacustri per azione di acque ricche di ferro su materiali organogeni fosfatici. Una delle varie forme sotto cui si presenta la Vivianite, è una patina azzurra sostituente il materiale organico delle foglie fossili incassate in argilla. Scommetto che non indovinereste mai dove ho collocato il materiale così rinvenuto…! Ebbene, sempre nello stesso armadietto dello spogliatoio…! L’ho tenuto lì per alcuni giorni, in attesa di trovare un momento tranquillo in cui poterlo pulire dalle parti terrose. E quando il momento è arrivato, ha portato con sé un’amara sorpresa: i sottili strati cristallini si erano completamente polverizzati, poiché seccati a causa del calore dello spogliatoio…! Però successivamente sono riuscito a conservare la Vivianite che si presentava sotto altre forme: ciuffi aciculari o piccole geodi microcristallizzate, anch’esse ritrovate per lo più in zona Allori, o in prossimità di Poggio alla Scarpa dove era collocata la stazione di testa del nastro trasportatore “M3”, che conduceva alla discarica di Morbuio.

In fase di apertura della cava Allori l’escavatore “RS 1000 – Betta 1” scavando nella porzione più alta del versante di San Martino, strappava spesso blocchi di roccia in posto, sulla quale erano visibili piccoli ma numerosi noduli e concrezioni di Marcassite, anche questo un minerale del ferro dotato di proprietà magnetiche. Si può definire compagno meno conosciuto della pirite. Viene utilizzato, dopo averlo lucidato, come piccola gemma che accompagna altre pietre preziose per metterne in evidenza il valore.  Parallelamente al deposito della lignite, chiamato bunker, scorreva un nastro trasportatore attraverso il quale si movimentavano i blocchi di lignite provenienti dalla Miniera verso la Centrale Termoelettrica, dove venivano successivamente, attraverso un impianto di frantumazione, polverizzati. Al disopra della porzione finale del nastro, ancor prima di entrare in Centrale, vi era posizionato un elettromagnete che attraeva le parti ferrose provenienti dalla cava: si trattava principalmente di spezzoni di rotaie, zappe, o incastrini provenienti dallo scavo in sotterraneo e recuperati dalle macchine di scavo. Mescolati a questo materiale terroso, venivano trovati pezzi di magnetite: un minerale del ferro di colore grigio fumo o nero. Questo minerale viene talora utilizzato nella terapia del dolore, soprattutto per dolori articolari, cefalee e mal di schiena.

A differenza dei modesti ritrovamenti di specie mineralogiche, sono stati invece rinvenuti nel corso degli anni, e soprattutto negli anni ’80 quando sono state profilate, in fase di apertura della cava Allori, le scarpate poste sul versante di Meleto, oppure in zona Campocigoli, nel tratto congiungente la cava Allori con la cava San Donato, vari tipi di fossili: soprattutto foglie di varie essenze, pigne, aghi di pino, fiori di faggio, noci, fiori di magnolia. Viceversa, sono stati invece molto scarsi i ritrovamenti di fossili animali.

(G. Gullotto)


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