La Pieve di San Pancrazio è ad oggi il punto focale del piccolo borgo omonimo, della cui secolare storia e delle sue molte vicissitudini si è scritto molto. Poco invece sappiamo delle vicende dei suoi poderi e della miniera che venne aperta alla fine dell’Ottocento,
proprio nei terreni adiacenti alla Pieve, per scavare quel po’ di lignite presente nel suo sottosuolo. Tanti anni sono passati ed è difficile immaginare quest’edificio sacro come uno dei più importanti e ricchi della zona del Valdarno aretino. A memoria del suo prestigio possiamo ricordare che la Pieve fu la matrice delle chiese di S. Salvatore a Vacchereccia e S. Michele al Colle e tra il 1295 e il 1304 ampliò ancora il suo plebanato con le chiese di S. Pietro a Massa, S.Donato a Castelnuovo e S. Andrea a Montetermini.
Il popolo di San Pancrazio per la sua piccolezza non formò mai un comune proprio, infatti come si legge nel censimento del 1551, voluto dal Granduca Cosimo il Vecchio, insieme al popolo di Montegonzi, quello di Massa e quello di Pianfranzese, gli abitanti raggiungevano a stento le ottocento unità. San Pancrazio fece parte anche del comune di S. Donato a Castelnuovo e della Lega d’Avane, voluta da Firenze per organizzare i propri domini rurali. Essa vide la luce alla fine del 1300; i territori che ne facevano parte erano Meleto, Cavriglia, Colle, Castelnuovo, Lucolena, Gaville, Piano (S. Martino), Torsoli e San Donato Avane, suddivisi tra i Pivieri di Gaville e San Pancrazio. Durante il periodo della sua esistenza la confederazione subì numerose modifiche territoriali, tanto che alla fine del ‘400 si componeva di soli quattro comuni e più tardi saranno sei, a seguito dell’incorporazione di Montaio e Montegonzi alla fine del XVI secolo.
Per avere altre notizie su San Pancrazio e la composizione del suo territorio bisogna arrivare al 1758 quando, grazie alla trascrizione fatta dal pievano Alessandro Renzi, sappiamo che nove erano i poderi che in questo periodo appartenevano alla Pieve: La Villa, Campo alla Pietra, Secciano, Corneto, Casa al Monte, Casignano, Solatio, Berlingozzi e Stentatoio. Tutti avevano una casa per i lavoratori, composta da camere e sale per l’alloggiamento di chi lavorava le terre. Ai piani bassi si trovavano le tinaie per il vino che veniva coltivato negli appezzamenti, stalle e ricoveri per gli animali da cortile. Alcune case erano provviste anche di colombaie e all’esterno possedevano un forno a legna per la cottura del pane e di altri alimenti. Gli appezzamenti di terra per la maggior parte erano coltivati con viti e olivi, qualche zona era riservata anche agli alberi da frutto come peschi, susini e meli. Grande importanza era data anche ai marroni e alle castagne, soprattutto nei poderi più in collina. In alcuni campi si coltivavano anche i cereali come grano e segale. Al limitare delle zone boscose o per consolidare i terreni scoscesi erano messe a dimora ginestre e scope, dalle quali poi si ricavava materie prime da utilizzare per la fabbricazione di strumenti come stuoie o scope per spazzare.
Nel podere di Casignano era – ed è presente ancora oggi – la chiesa di S. Lorenzo, una piccola costruzione a pianta rettangolare absidata risalente al XII secolo. Sappiamo che già prima del 1624 la Pieve di San Pancrazio possedeva un pezzo di terra chiamato La Seccianese nel popolo di San Salvatore a Vacchereccia. Gli abitanti di questo terreno, usato in larga parte per la semina di grano, dovevano pagare l’affitto e dare una parte del grano prodotto proprio alla Chiesa. Inoltre gli affittuari di questo appezzamento il giorno dell’Assunzione portavano in spalla una croce fino alla Pieve. Qui i fedeli venivano rifocillati prima del ritorno in valle con pane, uova e un bicchiere di vino. Il 13 febbraio 1773 San Pancrazio con gli altri popoli della Lega d’Avane andò a formare il Comune di San Giovanni Valdarno. In quegli anni non molti abitati erano rimasti sulle colline della piccola frazione, erano così pochi da non arrivare nemmeno a cento unità. Agli inizi dell’Ottocento, durante l’occupazione francese della Toscana, i popoli della Lega d’Avane furono divisi dal Comune di San Giovanni Valdarno e formarono la nuova Comunità di Cavriglia della quale fa parte tutt’oggi. Dal 1 novembre 1825 inoltre San Pancrazio, con tutto il Comune di Cavriglia, entrò a far parte della Provincia di Arezzo.
Sul finire del secolo nei territori adiacenti alla Pieve venne aperta una piccola miniera per l’escavazione della lignite, combustibile fossile presente nel sottosuolo cavrigliese. Già nel 1890 la miniera risultava in funzione. I primi proprietari – insieme alla vicina miniera del Ronco – furono i fratelli Gragnoli, Salvatore e Ottavio, i quali sottoscrissero un accordo con la Società delle Ferriere italiane di San Giovanni Valdarno per vendere tutta la lignite umida scavata in quest’area. I fratelli Gragnoli qualche anno dopo, esattamente nel 1894, fecero richiesta al Comune di Cavriglia di spostare la strada comunale che portava da Cavriglia a San Pancrazio per costruire una ferrovia privata lunga circa sette chilometri la quale avrebbe permesso di trasportare la lignite direttamente alla ferriera. Nel 1898 i fratelli Gragnoli acquistarono altri terreni, nella zona degli Allori, e concentrarono le attività di estrazione in quest’area. La cava della Pieve, altro nome con cui veniva chiamata la miniera di San Pancrazio, dagli inizi del Novecento fu gestita da Giuseppe Fineschi e Giuseppe Ferretti, i quali presero in affitto altri terreni facenti parte del patrimonio della Pieve e stabilirono con il parroco Don Narciso Polvani, Rettore pro tempore della Chiesa Plebana, i termini entro i quali portare alla luce il combustibile fossile. Gli operai che lavorano in questa miniera erano una cinquantina circa, con due sorveglianti. Nel 1905, per contrastare il potere della neonata Società Mineraria e Elettrica del Valdarno, le miniere di San Pancrazio, Tegolaia, Gaville, Cave Vecchie, Il Casino, Il Mulinaccio e Palazzo si uniscono insieme nella Società Miniere Riunite. Col passare degli anni tutte queste cave finirono per essere inglobate dalla Società Mineraria. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale la miniera di San Pancrazio venne chiusa e il paese iniziò un lento declino con lo spopolamento dei suoi poderi, che culminerà nel secondo dopoguerra.
(G.Peri)
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Il progetto è realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze nell’ambito di “LABORATORI CULTURALI”, il Bando tematico che la Fondazione dedica ai musei toscani per contribuire alla realizzazione di progetti volti all’innovazione digitale e allo sviluppo di nuovi pubblici.