15 Lug 2022
category: luoghi , narrazione .

Pianfranzese: il castello di Biccio, Musciatto e Niccolò

La storia del castello di Pianfranzese è rimasta nella memoria di molte persone del luogo ancora oggi. In origine la località che ospitava il castello si presentava come una “contrada pianeggiante a mezza costa che dava il suo nome alla chiesa parrocchiale di San Martino, nel piviere di Gaville. Avendo i nobili Franzesi di Staggia o chi per loro riportato vittoria per i possessi di Pian d’Avane facilmente allo stesso luogo venne dato il nome di PianFranzese” come ricordava Emanuele Repetti due secoli fa. I documenti pubblicati e relativi alla storia del castello ci dicono che il complesso edilizio apparteneva alla famiglia dei Franzesi già dal 1200.

Capostipite della famiglia pare fosse stato un certo Guido, piccolo feudatario forse legato agli Ubertini. I personaggi invece dei quali il Davidsohn ha ricostruito le vicende sono i tre figli di Guido: Giovan Paolo detto Ciampolo (soprannominato Musciatto), Albizio detto Biccio e Niccolò. I tre uomini compaiono sul territorio francese già dal 1289 e alla corte di Filippo IV il Bello riusciranno a conquistare prestigio e potere, arricchendosi come tesorieri ed esattori. Il Marchini ricorda come la “loro mancanza di scrupoli [divenne] proverbiale tanto da figurare come tinta di fondo alla novella di Ser Ciappelletto nel Decamerone di Boccaccio” I tre fratelli riuscirono a legarsi presto ai potenti del loro tempo per arrivare fino alla curia romana sotto il pontificato di Bonifacio VIII. Tra la fine del 1200 e i primi anni del 1300 la potenza politica della famiglia crebbe anche in patria: Biccio era proprietario del castello di Staggia, Musciatto aveva avuto l’investitura di Poggibonsi e Fucecchio e risultava proprietario del castello di Colle. Ben presto si aggiunse anche il castello di Trequanda ai vari possedimenti mentre Niccolò acquistò un palazzo nella vicina Siena. Tutti e tre a vario livello parteciparono attivamente alla politica e alle guerre del tempo, ma la loro ascesa fu rapida come il declino: Biccio e Musciatto morirono a distanza di pochi mesi tra il 1306 e il 1307; Niccolò cercò di salvare quel poco che rimaneva della potente famiglia.

Il castello di Pianfranzese sorgeva a quota 306 metri s.l.m. Oggi in quello spazio troviamo un avvallamento. La struttura era abbastanza singolare presentandosi come una sorta di contaminazione tra il castello da signore e il castello borgo. Il nucleo più antico era il castello, sorto forse su un canovaccio di un borgo fortificato dall’andamento circolare. Una fotografia tratta dall’archivio Alinari di Firenze e apparsa in Cento Città di Lorenzoni data il castello al XIV secolo evidenziando “l’andamento press’a poco di falce lunare fra i capisaldi di due torri”. Un giardino, due cappelle, edifici ad uso rurale e una fabbricato, Villa Arrigoni si sono poi disposti attorno al nucleo più antico del complesso edilizio.

Nel castello di Pianfranzese sono state individuate varie fasi costruttive: la prima tipicamente medioevale corrispondente al modulo dei palazzi fiorentini del Duecento: capitelli tardo romanici e influenze arnolfiane erano state individuate negli spazi esterni e interni dell’edificio; una seconda fase, caratterizzata dalla forma delle finestre del piano terra, di chiara influenza Michelozziana e una terza di epoca manierista. Sappiamo che il castello passò di mano in mano: dai Franzesi ai Capponi, poi ai Ricasoli e infine ai Panciatichi Ximenes d’Aragona. Tali passaggi sono ancora oggi visibili in ciò che resta del castello, ovvero gli stemmi che adornavano le facciate. A fianco del castello c’erano delle piccole cappelle, una di queste era intitolata a San Niccolò. Fu proprio al suo interno che venne trasferito l’affresco proveniente dalle Corti negli anni ‘20 del 1900: esso raffigurava una crocifissione. L’opera venne poi attribuita da alcuni alla scuola di Andrea del Sarto; per altri alla bottega del Franciabigio ed oggi si trova esposta presso la chiesa parrocchiale di Santa Barbara. Alcuni articoli di giornale che si interessarono della vicenda del castello nel secolo scorso riportano notizia anche della presenza di un’altra opera, una Madonna con Bambino e angeli in contemplazione – posta in una sala del castello. Un dipinto eseguito su “tavole di fico di 3 metri per 1.5 metri”.

Quando a seguito delle escavazioni minerarie ci si interessò al castello l’intero complesso risultava appartenere da tempo alla SAV, la Società Agricola Valdarnese: il castello fu acquisito infatti tra il 1935 e il 1937 subendo profondi restauri. Purtroppo non abbiamo documentazione in merito, scomparsa col passaggio del fronte di guerra. Tra il 1944 e il 1945 il castello ospitò le truppe alleate. Esse avevano preso possesso di alcuni poderi e degli edifici; il 22 settembre del 1953 la Società Mineraria redasse una perizia relativa ai danni di guerra occorsi alle proprietà della Società Agricola, di cui faceva parte anche Pianfranzese. I terreni erano stati occupati dal 17 novembre del 1944 al 30 giugno del 1945 mentre il castello e villa Arrigoni avevano ospitato le truppe dal 3 marzo al 30 giugno 1945. I terreni occupati erano stati usati prevalentemente per costruire accampamenti e poligoni di tiro. I danni rilevati dal passaggio delle truppe erano legati soprattutto alla presenza di mezzi pesanti che avevano creato profondi solchi in terreni coltivabili che necessitavano adesso di essere ripristinati; i locali del castello e della villa invece presentavano danni ad intonaci e pareti, vetri rotti, impianti sanitari divelti, pavimenti rotti. Anche gli alberi attorno al complesso edilizio furono danneggiati e molte delle querce, dei pioppi e degli abeti presenti subirono il taglio ad opera delle truppe sudafricane di stanza a Santa Barbara.

Il secondo dopoguerra segnò un’altra storia. Dal 1969 al 1984 le vicende del castello si possono ricostruire attraverso i documenti d’archivio e gli articoli di giornale, una storia complicata, da un lato i programmi di escavazione, la produzione di energia elettrica, il lavoro; dall’altro il valore patrimoniale del complesso. Ne parleranno tutti del castello: Enel, i Ministeri dell’Industria e dei Beni Culturali, le Amministrazioni locali, Italia Nostra, le Soprintendenze di Arezzo e Firenze, le associazioni a tutela del patrimonio.

Il 17 maggio del 1971 venne dichiarata la pubblica utilità per l’esercizio minerario dell’area Allori-Pianfranzese-San Donato; il 14 novembre del 1972 il Ministero della Pubblica istruzione (nel 1974 diverrà sotto il governo Moro, Ministero per i beni culturali e ambientali) rispose con un altro decreto dichiarando il castello di particolare interesse e sottoponendolo a vincolo. Intanto in Valdarno nasceva la sezione locale di Italia Nostra.

Il 1973 si configurò come un anno di apprensione per tutti: per scongiurare anche un vincolo paesaggistico si ricorse al Consiglio di Stato; la Regione Toscana su sollecito di Italia Nostra intanto chiedeva di sospendere i lavori per trovare una soluzione; le amministrazioni locali cercavano rassicurazioni in tema di occupazione e produzione e al tempo stesso chiedevano tutele per il castello. Si affacciò un’idea: smontare l’edificio pietra per pietra e ricostruirlo altrove. Le preoccupazioni per la produzione e l’occupazione spinsero tutti a rivedere ancora una volta i piani e il Ministero dell’Industria dette il via ai lavori. Arrivano altre ipotesi per salvare il complesso edilizio: Enel e la Soprintendenza si accordano per modellare a gradoni la scarpata sulla quale sorgeva l’edificio, altri riprendevano la proposta della ricostruzione del complesso in altro luogo. La decisione da prendere non era semplice: se si scavava, la lignite sarebbe stata a disposizione per altri 20 anni circa; se si fosse salvato il castello la produzione si sarebbe fermata dopo 3-4 anni. Il 21 aprile del 1976 si tenne una riunione con le comunità. La decisione presa fu quella di andare avanti con i lavori minerari; nel frattempo le ricerche scientifiche proseguirono con la richiesta di Mario Salmi di realizzare una monografia sul castello. Due anni dopo il Marchini pubblicò il volume Pianfranzese, oggi unico ed ultimo testo rimasto capace di raccontare nei dettagli l’aspetto storico – artistico dell’edificio. Le polemiche non si placheranno fino al 26 marzo 1977 quando il Ministero dei Beni Culturali revocherà il vincolo sull’edificio. L’escavazione mineraria poteva andare avanti.

Il castello ormai si presentava in condizioni di forte instabilità, si erano aperte crepe sui muri, parte della facciata era crollata. I primi anni ‘80 segnarono la fine di Pianfranzese. L’edificio venne distrutto pezzo per pezzo e le grandi torri furono tirate giù. Quel che si poteva recuperare fu recuperato o venduto, i due stemmi furono salvati; il resto furono solo macerie da smaltire. Nel gennaio 1984 furono consegnati i verbali relativi ai lavori di demolizione del complesso. Dieci anni dopo i bacini lignitiferi furono dichiarati esauriti.

(P. Bertoncini)


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