27 Apr 2022
category: luoghi , narrazione .

San Martino parte 2

Torniamo a parlare di San Martino e della sua lunga storia per comprendere cosa accadde all’area già dalla fine del XIX secolo, quando ormai l’industria mineraria stava prendendo campo. Era il 1899 quando il professor Grattarola consegnò allo Spedale degli Innocenti una relazione circa la presenza di lignite nel sottosuolo dei possedimenti del Regio Ospedale presso San Martino. Nel 1901, il 3 febbraio il professor Grattarola dette alle stampe la sua relazione “Prime note sulla lignite del Valdarno”, memoria letta all’Accademia dei Georgofili; pochi mesi dopo, il 6 maggio l’Ospedale degli Innocenti fece istanza di attivazione di una miniera: i terreni contenevano nel sottosuolo un lembo dell’esteso banco lignitifero che da Castelnuovo va fino a Gaville. Dagli affioramenti e dagli scavi che si trovano nelle vicinanze dei terreni dello Spedale, e specialmente dalle trivellazioni eseguite risultò che la lignite era diffusa in condizioni alquanto diverse. Si comprese quasi subito che per la coltivazione del lembo di banco lignitifero sottostante i terreni dello Spedale degli Innocenti occorreva necessariamente scavare gallerie. Dopo studi, perizie e consulenze nel 1906 si stipularono i primi accordi con la Società delle Miniere Lignitifere Riunite per la concessione di alcuni terreni nella zona Allori per coltivare lignite. Pochi anni dopo altri appezzamenti di terreno, distanti dalla fattoria ma appartenenti ad essa, saranno ceduti all’industria delle miniere. Iniziati gli scavi cominciarono i problemi di stabilità per il paese: le prime crepe comparvero nelle abitazioni già alla fine del 1800. Fu soprattutto l’abitato di Casuccia, poco distante da San Martino a subire un primo crollo in seguito ad una frana e sarà proprio l’esempio di Casuccia a spingere il parroco del paese nel secondo dopoguerra ad intentare una causa nei confronti della Società delle Miniere per un risarcimento danni provocati alla chiesa del paese.

San Martino era diventato ormai un paese dove c’era un po’ di tutto; fino al 1915 erano state in funzione le scuole elementari che ben presto, a causa degli abbattimenti avvenuti per l’escavazione della lignite, subirono lesioni e crolli importanti tanto da rendere la struttura inagibile. In attesa di una soluzione la scuola del paese fu trasferita in un pollaio. La popolazione si aspettava che la Mineraria ricostruisse l’edificio. Anche la maestra si interessò ma al 1917 ancora una soluzione non era stata trovata. Alla fine fu deciso che scuola e maestra fossero trasferiti a Castelnuovo dei Sabbioni; il che volle dire per i bambini percorrere 6 km al giorno a piedi per frequentare le lezioni, cosa piuttosto complicata d’inverno. Le vicende del paese sarebbero proseguite anche nei decenni successivi.

Durante il secondo conflitto mondiale anche San Martino fu luogo di eccidio. Le vittime furono 4, uccisi a colpi di baionetta presso l’aia del Neri e molte case furono date alle fiamme. Passata la guerra i problemi non finirono. Per quasi dieci anni si aprì un contenzioso fra il parroco Don Giuseppe Cicali, la Curia vescovile e la Società Mineraria. Secondo il parroco la chiesa di San Martino e la canonica stavano subendo delle lesioni alle strutture a causa dell’escavazione della lignite della miniera Allori. L’edificio fuori dalla concessione mineraria era distante 500 metri dai limiti occidentali dei lavori e la Mineraria escluse fin dall’inizio dei collegamenti. Però molti dei fabbricati agricoli della zona erano ormai distrutti proprio perché lesionati dall’escavazione mineraria e questo preoccupava il parroco. I danni maggiori che la chiesa stava subendo erano legati al campaniletto a vela, perché date le lesioni sarebbe potuto crollare, e a una parte della volta del portico antistante la chiesa. Il contenzioso andò avanti ed arrivarono anche i periti. Ognuno diceva la sua ma il problema della chiesa di San Martino era da riscontrare nella conformazione del suolo piuttosto che per la presenza delle miniere. I dissesti statici proseguirono anche nei primi anni Cinquanta, rilevati sempre dai sopralluoghi richiesti ed inseriti nelle perizie che di volta in volta venivano presentate in tribunale. L’edificio, chiamato erroneamente in alcune perizie abbazia, era stato costruito sopra una stretta collina compresa fra il fosso del Pago e quello di Sinciano, entrambi diretti da ovest verso est. Un edificio a navata unica, completato dal piccolo portico coperto a volta. A fianco altri due corpi di fabbrica che chiudevano lateralmente il portico e un altro edificio posto a nord. Scendendo verso est per 200 metri il pendio del terreno era dolce e coltivato ad alberatura di ulivi mentre più in basso iniziava ad essere scosceso e a presentare piccole frane. Alla fine si escluse un rapporto di causa – effetto fra le lesioni della chiesa e l’escavazione mineraria. La chiesa – fattoria fu demolita alla fine degli anni Cinquanta e un nuovo edificio venne costruito nell’abitato di Bomba.

Nel 1978 il parroco Don Cicali, che nel frattempo aveva occupato la chiesa di San Donato in Avane, decise di festeggiare i cinque secoli di vita della campana della vecchia chiesa di San Martino. Essa pare risalisse al XV secolo e di vicende ne aveva viste e passate: nell’inverno del 1944 era stata presa di mira da alcuni repubblichini che gli avevano sparato contro; pochi mesi dopo rischiò di andare perduta quando i tedeschi incendiarono la chiesa e il paese. Nel 1954 era stata tolta dal suo campanile in attesa di essere spostata nella nuova chiesa costruita a Bomba nel 1957. Nei tre anni di attesa gli abitanti utilizzarono le cappelle del Castello di Pianfranzese per le funzioni religiose. La campana a Bomba ci sarebbe rimasta comunque per poco tempo dato che nei primi anni Ottanta il paese sarebbe stato distrutto così come la nuova chiesa di San Martino, demolita una seconda volta.

Oggi un piccolo madonnino ricorda ancora i nomi delle vittime dell’eccidio del 4 luglio; lo si trova là dove una volta esisteva l’abitato di San Martino, sul margine della grande voragine che si affaccia sul bacino minerario degli Allori – San Donato – Gaville.

(P. Bertoncini)


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