La Società Italiana Lignite e Torbe apre nel 1915 una miniera in località ‘Le Carpinete’, situata più precisamente fra il borro del Pianale e il borro de ‘Le Carpinete’, quindi ad est del bacino lignitifero valdarnese. La miniera sorge dunque sul finire del banco lignitifero del bacino di Castelnuovo, dove la lignite va degradando. Caratteristica questa che determinerà le modalità di escavazione rendendole molto spesso più difficoltose e pericolose rispetto ad altre miniere cavrigliesi. Il banco, aveva debole pendenza, ed era attraversato da varie faglie pressoché parallele, di direzione all’incirca sud-sud est e nord-nord ovest che rigettano il banco stesso in basso verso est. La potenza è variabile: raggiunge un’altezza massima di 20 metri nella zona ovest della miniera, che si riduce notevolmente andando verso la zona orientale. La lignite è del tipo xiloide, con notevole percentuale di parte legnosa: essiccata all’aria, contiene circa il 25% di umidità ed ha un potere calorifico di circa 3500 calorie. Il metodo di coltivazione in queste gallerie è per fette orizzontali di 4-4.5 m di altezza fra livello e livello, come nelle altri parti del giacimento valdarnese. La produzione viene estratta mediante piano inclinato.
Nelle prime fasi di escavazione sono 100 le tonnellate giornaliere del combustibile fossile che viene scavato. E sono circa 80 gli operai occupati dalle varie fasi di lavorazioni.
La miniera ha anche dei piazzali esterni per l’essiccamento della lignite, capannoni di immagazzinamento e un impianto di vagliatura delle pule, cioè delle parti più piccole.
I piazzali della miniera, che non possono sfruttare il treno delle miniere della rivale Società Mineraria del Valdarno, sono collegati alla stazione di S. Giovanni Valdarno mediante teleferica che misura oltre 5 chilometri. Negli anni i piazzali saranno poi ampliati e verranno costruiti un impianto di essiccazione, due officine, una meccanica e l’altra elettrica, una falegnameria e una carpenteria. Gli operai avranno a disposizione anche uno spogliatoio e una sala sanitaria per le prime cure in caso di lievi ferimenti. Prima di scendere in miniera e alla fine del turno i minatori passavano dalla lampisteria per prendere o restituire le lampade di sicurezza da portare nel buio umido delle gallerie.
I primi anni l’escavazione procede regolare, nel 1920 la Società Anonima per la Lignite e Torbe fa domanda al Commissariato Generale per i Combustibili Nazionali di espandere l’area in cui poter cercare la lignite nel territorio del Comune di Cavriglia e l’anno successivo viene accordata la facoltà di coltivare il giacimento di lignite xiloide, la concessione viene poi trasferita il 18 novembre dello stesso anno alla S.A. Miniera delle Carpinete. In questo periodo iniziano le diatribe con la Società Mineraria del Valdarno che detiene la maggior parte delle miniere che scavano il bacino lignitifero cavrigliese. ‘Le Carpinete’ infatti confina con questa miniera ad ovest, parte più ricca del giacimento, e nel 1923 il confine è oggetto di lunghe controversie che finiscono davanti al Tribunale Civile di Firenze. La Società Mineraria fa valere il suo potere politico ed economico e le ricerche del combustibile fossile devono spostarsi ad est. Le diatribe legate soprattutto al confine ovest e all’area chiamata Mulinaccio continueranno anche negli anni successivi ed anche quando la Mineraria avrà ormai abbandonato il campo.
In questo primo momento ‘Le Carpinete’ denunciano un andamento frastagliato dei loro confini e per questo in prossimità dei limiti dovrebbe effettuarsi una coltivazione irrazionale ed antieconomica, e chiedono per questo motivo una rettifica dei confini. Il 23 ottobre 1934 viene concessa la rettifica dei confini, delimitati con dei pilastrini in arenaria con forma prismatica a sezione quadrata con inciso i due martelli incrociati, simbolo della miniera.Negli anni successivi ‘Le Carpinete’ ottengono una concessione trentennale per continuare a scavare e, nonostante le lamentele che la Società Mineraria rivolge al Corpo Reale delle Miniere per sconfinamento dei confini e per il modo di scavare, ‘Le Carpinete’ continuano con la coltivazione; nel 1939, con l’aumento del quantitativo di lignite scavato, adesso si scava circa 200-250 tonnellate giornaliere, ampliano i piazzali di stoccaggio comprando cinque nuovi terreni prima coltivati con: gelso, aceri e soprattutto viti.
Altri ampliamenti verranno negli anni ‘40 con la creazione di nuovi cantieri per l’abbattimento della lignite, divisi su tre livelli e si cercherà un accordo con la Mineraria per poter creare ancora nuovi piazzali in vista di un grosso incremento dell’estrazione, per far fronte alle innumerevoli richieste del combustibile fossile, che sarebbe dovuto arrivare a circa 500 tonnellate giornaliere. Nel novembre di quest’anno iniziano i problemi con i carri ferroviari, la miniera del fondovalle come abbiamo visto grazie alla teleferica porta direttamente la propria lignite a San Giovanni Valdarno, da qui la lignite, tramite treni, viene esportata nel nord della Toscana e in Italia settentrionale dove si trovano il numero maggiori dei clienti de ‘Le Carpinete’. La mancanza dei carri ferroviari per il trasporto rischia di fermare tutta l’opera di escavazione perché da un lato i piazzali non possono essere più ampliati a causa della topografia della miniera e dall’altro stoccati sotto i capannoni sono già presenti 25mila tonnellate di lignite. Il problema dei carri ferroviari continuerà a lungo anche dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il disastroso stato della linea ferroviaria italiana non permetterà l’arrivo a San Giovanni del numero di treni richiesto dalla miniera. Oltre a questa mancanza dagli anni quaranta vi saranno anche problemi relativi all’approvvigionamento dei materiali utili per la coltivazione, ad esempio manca il legno per le armature o le gomme per le biciclette degli operai.
Durante il passaggio del fronte anche la miniera de ‘Le Carpinete’ subisce danni, sia dai guastatori tedeschi sia dai bombardamenti alleati, ma dal ‘45 riprende l’escavazione, per ovviare ai problemi di trasporto vengono fatti arrivare, con qualche difficoltà, due autocarri della Fiat. Con questi si può soddisfare la richiesta giornaliera della clientela più vicina, fino a Prato e Firenze, dove la Società Ginori e le Industrie Laniere, utilizzano la lignite cavrigliese per i loro forni. Nel secondo dopoguerra però tutta la coltivazione della lignite entra in crisi, non c’è più l’alta richiesta del periodo bellico, la situazione è generalizzata per tutte le miniere del Valdarno, ‘Le Carpinete’ comprese. Per non fermare la produzione nascono alcune cooperative di operai. A ‘Le Carpinete’ si forma la LA.MI.CA., Lavoratori Miniere Carpinete, il cui lavoro è svolto secondo le direttive della Società Le Carpinete, la quale mantiene la responsabilità per l’osservazione della legislazione mineraria. La convenzione stipulata tra le due parti prevede un cottimo collettivo uguale a quello dell’E.L.V, massimo produttore di lignite nei terreni che prima erano della Società Mineraria.
Nel 1950 a causa di un incendio che ne ferma il funzionamento la teleferica verrà sostituita da un raccordo ferroviario a scartamento ridotto. L’inizio degli anni Cinquanta mostra molte difficoltà non solo per la Cooperativa ma in generale per le miniere cavrigliesi, a causa della poca vendita della lignite non riescono a pagare le bollette della SELT che stacca loro la corrente, pochi sono gli operai che rimangono a lavorare in miniera e svolgono soprattutto lavori di la manutenzione. Nel ‘55 alla LA.MI.CA., andata ormai in dissesto finanziario, subentra La Cooperativa Miniera Carpinete, sempre con una convenzione di cottimo collettivo. Il finire degli anni ‘50 vede riprendere i dibattiti per la coltivazione della lignite, questa volta la controparte è la Società Santa Barbara, in località Casino e Mulinaccio. Questa zona di confine sarebbe l’ultima da scavare per ‘Le Carpinete’ prima dell’estinzione del deposito di lignite presente nell’area della loro concessione. In un primo momento le parti in causa trovano un accordo. La Santa Barbara concede l’escavazione in quest’area dettando però le regole di estrazione perché non sia compromesso il deposito. Qualche anno più tardi, sul finire del settembre 1964, la Santa Barbara fa appello al Distretto Minerario di Firenze per far cessare l’escavazione in quest’area, perché di interesse ai lavori per l’estrazione a cielo aperto quali profilatura e scavo delle scarpate marginali.
Gli ultimi anni della miniera ‘Le Carpinete’ saranno particolarmente difficili, è l’ultima miniera rimasta a lavorare sottoterra, ci vorranno scioperi, proteste e marce, la più famosa è la quella del Natale del 1968, perché gli operai vengano assorbiti anche loro nei lavori di coltivazione a cielo aperto e passare poi all’ENEL. L’agognato passaggio avverrà nel 1969, quando 35 operai su 48 entrano a far parte della manodopera dell’escavazione a cielo aperto.
(G. Peri)
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Il progetto è realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze nell’ambito di “LABORATORI CULTURALI”, il Bando tematico che la Fondazione dedica ai musei toscani per contribuire alla realizzazione di progetti volti all’innovazione digitale e allo sviluppo di nuovi pubblici.