16 Apr 2022
category: luoghi , narrazione .

San Martino – parte 1

Nel territorio cavrigliese e più ancora nella parte che avrebbe riguardato l’area mineraria c’erano in passato numerose fattorie, alcune con grandi possedimenti, altre più piccole; fattorie composte spesso da poderi sparsi. Le più antiche risalivano al XVI secolo ed è proprio in questo secolo che si hanno le prime informazioni sulla Fattoria di San Martino, appartenente allo Spedale degli Innocenti di Firenze. Plantari, fogli sciolti e cabrei ricostruiscono la storia agricola assieme ai registri e ai documenti. Questa era una fattoria grande che si estendeva anche in altre zone del territorio – San Cipriano, Vacchereccia – i cui poderi furono in tempi più vicini a noi oggetto di interesse della nascente industria mineraria. Non lontano da questi luoghi si trovava la fattoria di Massa dei Sabbioni, descritta attraverso i documenti e raccontata per immagini da Giovannozzo Giovannozzi; fattoria appartenente allo Spedale di Santa Maria Nuova. Spostandosi verso Cavriglia si poteva incontrare la fattoria di San Pancrazio, descritta nel libro della Memoria del 1758 con i suoi poderi e le sue coltivazioni mentre più a valle, confinando con San Martino si estendevano i possedimenti della fattoria di Meleto, nel 1700 di proprietà della famiglia Alamanni. Una fattoria grande, con case coloniche e un mulino che divenne poi proprietà degli Uguccioni Gherardi prima dei recenti passaggi di proprietà.

Torniamo a San Martino e alla storia della sua fattoria. San Martino in Pianfranzese, conosciuto in passato come San Martino in Avane, era un piccolo paese con una chiesa e la vecchia fattoria arroccata su di una collina. La chiesa-fattoria era stata costruita per volere dello Spedale degli Innocenti ma l’origine del paese sembra essere più antica, risalente forse al periodo romano ma non ci sono molte notizie che ci aiutano. Un po’ di informazioni risalgono al 1118 quando si fa menzione di una chiesa citata tra le carte dell’abbazia di Coltibuono. Sappiamo però che il paese appartenne alla Lega d’Avane e per secoli l’attività agricola segnò lo scorrere del tempo e la vita dei suoi abitanti fino a quando alla fine del 1800 la lignite divenne oggetto d’attenzione anche per le entrate dello Spedale fiorentino che decise di affiancare questa nuova attività a quella agricola.

San Martino, un paese e una miniera si potrebbe dire e furono proprio le miniere a causare in parte la crisi del paese che ben presto mostrò problemi di stabilità per molti edifici. San Martino subì nel tempo l’esodo della sua popolazione, così come accadde poi per altri centri del territorio ma non fu particolarmente interessato dall’escavazione a cielo aperto della lignite. I crolli e le instabilità derivarono soprattutto dalle miniere in galleria poste più a valle dell’insediamento. Alla fine del 1800 si contavano 377 abitanti che salirono a 565 negli anni ‘20 del secolo scorso. Nel 1935 erano arrivati a 970; dopo la seconda guerra mondiale sarebbero scesi a 600 e in seguito all’abbandono di numerosi edifici nel 1978 ne rimanevano poco meno di un centinaio. Si arrivava al paese dalla casa del Ciapi; alla bottega del fabbro c’era un bivio: da una parte si proseguiva per Pianfranzese, dall’altro si andava verso la chiesa. Questa era un edificio bello, imponente con muro altissimo, una scalinata, un giardino e uno loggiato antistante l’entrata. Una chiesa fattoria importante, che compare in molti cabrei oggi conservati a Firenze che ci permettono di capire come fosse organizzata. La fattoria di San Martino è tra le più antiche del patrimonio dello Spedale degli Innocenti. Nel 1600, per necessità di riorganizzare i propri possedimenti lo Spedale aveva fatto redigere degli inventari: in questo secolo entrarono a far parte della fattoria di San Martino il podere Casino di San Cipriano, la villa padronale, il podere Mulinaccio e Castellare, acquistati nel 1632 da Ser Piero di Messere Bernardo Neretti. A questi si unirono ben presto Farneto (1657) e “una piaggia detta Solatio di stiora al Farneto e un’altra piaggia detta il Montanino al Castellare” (1658).

Nel Seicento con il priore Settimanni si organizzarono nuovamente le proprietà dello Spedale. Risale a quel periodo il primo schizzo dell’edificio e della fattoria che aveva la sua sede nella chiesa stessa di San Martino: una struttura con un bel porticato a 5 arcate oltre il quale si accedeva alla chiesa. Al di sopra, la muratura, con una meridiana, che terminava con il campanile a vela. A fianco dell’edificio religioso altre due strutture: la casa del lavoratore e un altro fabbricato in muratura. La chiesa-fattoria di San Martino aveva di fronte un prato con qualche albero e una piccola annotazione su queste piante ci indica anche la presenza del cimitero. Sulla facciata dell’edificio posto a fianco della chiesa faceva bella mostra di sé ancora nella seconda metà del Novecento un piccolo stemma rappresentante un bambino fasciato, che richiamava alla mente quelli fiorentini della piazza della Santissima Annunziata. Dalle carte rinvenute appare chiara anche la suddivisione degli spazi interni della chiesa: sappiamo così che c’erano stalle, una cucina, una stanza per il telaio e un forno e al piano superiore stanze e stanzini. Dentro la chiesa c’erano due altari, uno dedicato alla Madonna del Rosario del 1617 e quello della Compagnia del Corpus Domini del 1606, dedicato a Sacro Cuore. A fianco dei locali per il culto si aprivano una serie di stanze usate per diversi scopi: stalletto, capanno, seccatoio, cucina, forno, dispensa, stanze e camere, sala, salotto, cucinotto, magazzino, orto. Nel 1852 venne redatto l’ultimo plantario relativo ai beni della fattoria realizzato da Michele Checcucci di Tavernelle che misurò confini, marchiò, trasse dal vero e scrisse tutte le informazioni necessarie. Nelle piante di alcuni poderi, a lapis, iniziarono a comparire i nomi di quelle zone che pochi decenni dopo saranno oggetto di concessioni ed escavazioni minerarie. Anche fra i proprietari terrieri cominciamo a trovare nomi noti e legati alla nascente industria mineraria…

(P. Bertoncini)


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